[È un post un po’ esteso, ma è il più importante che faccio in 4 anni di vita politica]
Un mio vecchio maestro di matematica, poco prima dell’esame finale di terza media, ci disse: «il giorno prima dell’esame non statevene a studiare, quel che avete fatto avete fatto, decomprimete, fatevi una bella e lunga passeggiata, espirate, inspirate».
Non ho mai dimenticato quel suo insegnamento finale, e ieri mentre la Commissione congressuale esaminava la mia candidatura a Segretario nazionale di Articolo Uno, me ne son andato passeggiando fino a Pechino: sono andato all’Opera a vedere la Prima della Turandot di Ai WeiWei, il più grande artista interdisciplinare vivente.
Antefatto: come non è mistero, in segreteria nazionale di Articolo Uno son sempre stato ‘il più a sinistra’, un po’ soletto lì ma non nella base, del partito, da sempre di una sinistra “di governo” ma che sia sinistra, che sia, che non sia eternamente rivolta alla sua destra, al Partito Democratico. Che ci sia stata in questi anni una divaricazione, oltreché una mancanza di comunicazione, tra base e altezza del partito, è un fatto, grave.
Che non si sia fatta la sinistra, fatto il partito dell’ecosocialismo e del lavoro, autocommissariati nell’attesa di un’apertura democratica che non è avvenuta né avverrà mai nelle misure e maniere che cantileniamo compulsivi ormai da un lustro, è ancor più, grave, e ho espresso ciò a viso aperto ad ogni occasione in ogni sede, dalla segreteria, alla direzione, all’assemblea nazionale, nelle assemblee regionali fino a quelle della mia città, Roma.
In questo solco ho chiesto il congresso, dapprima da solo – e non propriamente ascoltato – in sede di esecutivo nazionale, poi negli ultimi mesi assieme a qualche segretario regionale e via via a “scendere” fino all’ultimo degli iscritti. Diverse voci, un coro piuttosto compatto.
Infine il congresso è stato concesso: era normativamente previsto, non necessariamente scontato.
A quel punto, in un congresso a mozioni contrapposte, c’è poco da fare, anzi una cosa sola: una mozione. Alternativa. Di conflitto, che poi è un altro nome del confronto. Ed è un conflitto che non fa morti: è un confronto che rende tutti più forti, tutto il partito. Il pluralismo, d’altra parte, è il fondamento della salute della democrazia.
Ho quindi co-elaborato, assieme a diverse e diversi compagni qui e là per l’Italia che han messo a disposizione le proprie idee e intelligenze, professionalità e passione, una mozione:
«e noi a sinistra, invece». eccola qui: https://bit.ly/3wv7dij
La spinta decisiva a mettere in campo questo sforzo di alternativa, è stata proprio la lettura della mozione di Roberto Speranza.
In essa, si domanda di decidere di non decidere, chiedendo esplicitamente mandato per poter continuare ad attendere il Partito Democratico, dietro la foglia di fico delle Agorà ancora in corso, come se dovessimo chiedere e attendere il permesso ad altri, prima di decidere cosa fare da grandi.
E sì, l’abbiamo letta tutti da tempo in direzione nazionale, perché la mozione Roberto l’ha potuta depositare per regola ad hoc molto prima, avendo poi tutto il tempo di raccogliere le 15 firme necessarie sul centinaio di membri della direzione nazionale prima che chiunque altro potesse scendere in campo.
Poco male, non è proprio esattamente rispondente al principio di “pari opportunità” tra le mozioni e i candidati a più riprese enunciato dal regolamento, ma non fa niente. Deposito tempo dopo (quando mi è concesso) la mia mozione, e sorprendentemente proprio nelle ore a cavallo del deposito le firme sulla mozione di Roberto triplicano, passando dalle originali 21 a una sessantina, tre quinti delle firme dell’intera direzione nazionale. Parallelamente, nell’inoltrare la mia mozione alla direzione stessa, la mail linka però quella… di Roberto, per giunta adesso con le 60 firme in improvvisa, imponente evidenza (eccola qui, non si parla delle mozioni assenti e dunque ve la presento ): https://articolo1mdp.it/…/e%CC%80iltempodellasinistra…
A quel punto, come poi in privato ammetterà un membro della commissione congressuale nazionale, diventa de facto quasi impossibile per la mia candidatura venir confermata.
Non mi perdo d’animo però, e non lascio comunque nulla di intentato, cominciando un matto e disperatissimo lavoro di ricerca dei contatti della direzione nazionale. Raccolgo firme nel Lazio, in Calabria, in Umbria, in Piemonte… alcune datemi non per sposare appieno la mia mozione (che comunque viene apprezzata trasversalmente) ma per il bene di un confronto congressuale più democratico, plurale. C’è poco da fare però: le 60 firme spuntate immediatamente prima del mio deposito sono troppe, e qui mi vengono in soccorso gli insegnamenti del mio vecchio maestro di matematica: ne restano 40. Di queste 40 una venticinquina abbondante sono persone che in molti casi mi rispondono con gran garbo, che mi spronano e mi fanno in bocca al lupo, ma che per ragioni non dissimili da quelle che porto nella mozione non ne vogliono più sapere nulla di Articolo Uno, non rinnovano la tessera da anni, non vogliono averci più nulla a che fare, come nelle due nelle foto.
Rimangono forse meno di 15 persone: meno delle firme necessarie. Non riesco a recuperarne pur uscendo matto i contatti, e allora li richiedo informalmente alla commissione e mi viene risposto che con la scusa della “privacy” non mi possono essere date. Neanche un indirizzo e-mail (nel 2022!), niente. Non avrò neppure la possibilità di chiederle, insomma, quelle firme.
Non è a mio modesto avviso granché giusto che un candidato non abbia i contatti che ha un altro, una volta di più contravvenendo al principio affermato dal regolamento di pari opportunità, ma non mi perdo d’animo neppure a questo punto, chi mi conosce sa che per abbattermi non basta tagliarmi le gambe o togliermi la parola: devono spararmi. Più d’una volta, anche.
Mi viene in soccorso il regolamento stesso però, che non vieta – e dunque in punta di diritto consente – di far sottoscrivere più d’una mozione, non come avallo politico ma per consentirle l’accesso alla contesa democratica. È un po’ come per i referendum: se firmo quello del fine vita consento a quel referendum di essere successivamente portato al voto, ma non vuol dire che lo stia già avallando, né che voterò in un senso o in un altro o affatto, neppure che lo stia già sostenendo, altrimenti la successiva consultazione referendaria stessa sarebbe un voto doppio, ripetuto. Norma alla mano ho ragione, e comincio quindi la scalata in solitaria. Più d’una persona, quasi la maggioranza delle persone che hanno formato la mozione di Roberto Speranza, trova giusto – in dei casi neppure condividendola politicamente – permettere la parola, l’agibilità politica alla mozione di David Tozzo. La cosa monta, colgo segnali di insofferenza al riguardo sino alla sorpresa: una risposta a un membro della direzione nazionale proprio circa questo firmare per consentire il voto viene girata irritualmente (era una risposta privata) dall’organizzazione nazionale a tutta la direzione nazionale, affermando come sia “evidente” (non lo è, e non è così) che non si possa firmare più di una mozione. È la pietra tombale: è tecnicamente, matematicamente non permesso presentare altre mozioni che non la prima, presentata prima, e che arriverà prima, senza seconda.
Mi arrendo, finalmente, a questo punto, secondo voi?
No. Non lo faccio perché lo devo alle tante e tanti militanti che mi spronano, che mi dicono che hanno finalmente trovato un senso a questa morte apparente, a questa attesa eterna di Godot, questi cinque anni di Articolo Uno: ricorro. Ovviamente il ricorso è fondato, pari opportunità vuol dire opportunità pari, non disegualissime, tanto che a conferma la commissione comincia a contattarmi informalmente (più volte), in uno sforzo di composizione che apprezzo e che accetto, fino al sacrificio finale che offro per non sfasciare tutto. Perché la sopravvivenza in vita del partito viene prima persino della vitalità democratica dello stesso. La vita prima della politica. C’è un’apertura concreta, un compromesso, e si prova a chiudere: a sorpresa poi la chiusura, ma quella netta, durante il primo atto della Turandot, e il respingimento totale del ricorso.
Per completezza e correttezza, proprio stasera giungiamo a un nuovo accordo politico, che tengo com’è giusto riservato e che non ho dubbi verrà rispettato.
Racconto questo perché come ho invocato nelle nostre sedi, e scritto di recente anche sull’HuffPost Italia (https://bit.ly/3Nd0bVA), quel di cui avremmo (avuto) bisogno è un congresso di verità e di chiarezza. Di conflitto, come detto, di cui arricchirci reciprocamente.
E invece no, niente mozione, niente confronto, tutto previsto, niente pathos. Un congresso a mozioni contrapposte senza mozioni, senza congresso.
E sì che differenze ci sarebbero, ci sono, a scorrerle le due mozioni:
una guarda a destra (verso i democratici), la nostra a sinistra
una parla di riformare il capitalismo, la nostra di abbatterlo e superarlo
una parla di Governo Draghi, un’altra d’uscita da quel Governo dell’emergenza con la fine dello stato di emergenza
la nostra parla di noi, Articolo Uno, l’altra ancora tanto, troppo di Partito Democratico
Potrei continuare. Non potrò continuare.
Io credo che ci meritassimo di meglio e di più. Io credo che su 13.500 iscritti in tutto il Paese che almeno 2 potessero essere votati Segretario nazionale e 13.498 confrontarsi, scontrarsi e incontrarsi, scegliere, votare democraticamente, sarebbe stato un bene per tutto il partito, per il congresso stesso. Non rendere possibile questo, è sbagliato, da tutti i punti di vista, è persino sciocco, senz’altro cieco e sordo.
Allora? Allora il mio invito non è a disertare. Il mio invito è a resistere, continuare a insistere in ciò che crediamo giusto. Salvo sorprese non ci sarà la mia candidatura né la mia mozione al congresso, ma continuate a leggerla, a scrivermi, a condividerla con le compagne e i compagni, a farla vivere. E non disertate. Non sono il bimbo viziato che mette il broncio e se ne va via col pallone, e quindi vi chiedo di partecipare comunque al congresso. Non vi biasimo se ora ne avrete meno voglia, è naturale, ma io sono un iscritto Articolo Uno, prendo parte, persino quando non mi fanno partecipare. Lotto, non boicotto. Magari barcollo, ma non mollo
Ma sono anche il compagno coerente: Il mio invito a questo congresso rispetto all’unica mozione in campo, che non condivido nel metodo né nel merito, è di non votare a favore (dunque astenersi o votare contrari), ma di votare, non di voltare le spalle. Chi è assente ha sempre torto, e chi torna nel bosco lo rispetto, ma poi lo riaspetto.
E un’altra cosa: lasciatemi essere il primo tra tutti noi 13.500 a fare le congratulazioni a Roberto Speranza per la sua rielezione a Segretario, cosa sgombrato da me il campo non più in dubbio, e dunque de facto già in essere. Sincere, fraterne. Perché tra competitor, e ancor più tra compagni, si fa così, persino quando non possono competere.
Gliele faccio perché, come altresì molti di voi mi avran sentito ripetere più volte, gli è piombata in testa una pandemia più grande di lui, di chiunque di noi, ed è stata – non suoni retorico, non lo intendo, non paia un’iperbole, non la è – la persona che più ha contribuito a salvare vite nel nostro Paese in questi anni pandemici maledetti. Non ha potuto fare il Segretario a tempo pieno, ma questo non è motivo di biasimo, lo è d’orgoglio: perché come ho detto prima, prima c’è la vita, poi nella mia vita subito dopo, ma solo dopo, la politica. A lui auguro che la pandemia ci lasci in pace, e che lui possa fare il Segretario a tempo pieno come meritiamo tutti, lui per primo; a me non auguro nullo, ma sappiata che ce l’ho messa veramente, ma veramente tutta. Sino all’ultima stilla.
Nessun osi, in ogni caso, a imputare a Roberto l’esito di quanto vi ho descritto (né a prendersela con la nostra organizzazione: è fatta di tutte, dalla prima all’ultima, di persone non solo perbene ma ottime. Sono umane, possono sbagliare e credo proprio che questa volta qualcuno di loro l’abbia fatto, ma sono tutti miei compagni, e meritano rispetto).
Roberto Speranza è una persona più, che perbene, ed io di bene gliene voglio tanto. Che non sarà politica, certo, ma come detto sopra è vita. E viene prima di tutto. Anche prima di noi stessi.
p.s.
nelle due foto ci sono due dei messaggi che membri della direzione nazionale mi hanno inviato, grazie a tutte e tutti – soprattutto i compagni di base! – perché mi avete travolto, di messaggi, grazie; nell’ultima ci sono io ieri sera alla fine della Turandot, stanco alla fine più che altro di 4 mesi di campagna pre-congressuale, e naturalmente un po’ deluso che sia finita come l’opera di Puccini ambientata a Pechino, che notoriamente… è incompleta. Sì, stanco, spiaciuto, ma senza mai perdere il sorriso, né la tenerezza, come diceva il Che



