Ci sono momenti, nella vita d’un uomo ed uomo politico, nella vita d’una comunità partitica, in cui delle decisioni bisogna pur prenderle.
È quel che ho detto al congresso nazionale di Articolo Uno: che quello fosse, dovesse essere, sarebbe dovuto essere il momento democratico delle decisioni.
Si sarebbe dovuta dare e tirare una linea, che fosse una linea, non dei puntini di sospensione. Non decidere di non decidere. Nessuna, ennesima, resa all’attesa.
Negli ultimi 6 mesi vista congresso, più che prima, sono sceso in campo e ho lottato.
Ho lottato chiedendo il congresso, che s’è infine tenuto e tenuto a scadenza naturale: non era scontato. Ho lottato per spezzare l’incantesimo dell’autoinganno dell’attesa eterna del Partito Democratico. Dell’eterna mai nascita di Articolo Uno. Ho combattuto per dare speme e spinta alle idee di quello che era o doveva essere, anche in tante nostre prediche e ahinoi mai nelle buone pratiche, il nostro orizzonte duplice e non disgiunto: la questione sociale e la questione ambientale. L’eguaglianza. La sinistra. Ho lottato per e con tante e tanti iscritti militanti da ogni angolo del Paese che la pensano come me.
Ci ho provato, ho scritto con voi una mozione da primo firmatario e candidato Segretario nazionale per rappresentare quella linea d’azione invece che d’attesa, quell’orizzonte di sinistra invece che di centro, autonoma invece che ancillare, eco-socialista invece che élitario-moderata.
Avevo promesso a tante e tanti di voi che sarei andato fino in fondo, costi quel che costi, che ci avrei provato fino alla fine. Fino alla fine l’ho, l’abbiamo fatto.
Alla fine ho perso.
Poco fa ho presentato le mie dimissioni dalla segreteria nazionale di Articolo Uno, dove ho sempre rappresentato l’ala più radicale di sinistra, che ora con me toglie il disturbo. Non è mossa granché furba, a pensarci: con le maggiori credibilità e conoscibilità che mi son – mi sia consentito – conquistato sul campo, avrei gioco più facile e più fruttuoso, più furbo a rimanere a presidiare, con maggiore autorevolezza di prima, quell’area internamente al partito. Però, sapete cosa? Sarebbe convenienza personale, il che lo trovo terribilmente sconveniente. Persino irrispettoso, non soltanto della mia storia politica, ma innanzitutto della comunità partitica che oggi lasciamo. Perché si può non condividere una linea politica, si può non approvare un voto congressuale, ma si deve sempre, comunque, rispettare. Io l’intendo rispettare e non intendo disturbare. È legittimo che una linea venga portata oltre la linea d’ombra, per dirla con Conrad, senza spine sinistre nel fianco a rompere le scatole. Questo è il rispetto che ho per la nostra comunità e per la democrazia, e in fondo paradossalmente (ma neppure tanto) anche per me stesso. Mi è stato peraltro lasciato inequivocabilmente intendere con precisi atti politici in definizione dei nuovi organismi, come il mio e nostro dissenso non avesse più posto nel percorso politico verso il Partito Democratico, e allora ne prendo atto senza ineleganza o intemperanza, invero senza neppure perdere il sorriso.
Mentre scrivevo le mie dimissioni, ricordavo le parole di Roberto Gervaso, per cui in Italia, il modo più sicuro per conservare il proprio posto è minacciare le dimissioni. Ecco, in questo come in altro sono un italiano e politico un bel po’ atipico: la coerenza la porto fino alle estreme conseguenze, mi costassero persino me. Io il fare lo faccio, non lo minaccio. Le dimissioni le do. Eccole.
E mentre pensavo (e facevo!) questo riflettevo su come vincere sia bello, perché vuol dire che hai prevalso, ma perdere è bellissimo, perché vuol dire che ci hai provato.
La mistica francese Thérèse de Lisieux diceva che le prove aiutano molto a staccarsi dalla terra, fanno guardare più in alto, al di là di questo mondo.
Ho visto e attraversato molto del nostro mondo (compagno), in questi 3 anni, e sentito tante delle compagne e compagni che lo abitano, lo animano, in questi 6 mesi e in particolare in queste ultime due settimane.
Ho ascoltato molto, in questi giorni, tante vostre parole: innanzitutto ci tengo a precisare che siete troppo generose e generosi, non so davvero se meritare tutte le cose che mi avete detto, e in ogni caso sappiate che non le avete dette a una persona, ma a un’idea politica, a una pluralità di pensieri e persone (in molti casi inclusi voi stessi): è questa una precisa posizione politica, è una postura esistenziale. Non il noi prima dell’io, bensì il noi e basta, dell’io nemmeno l’ombra, nel noi tutto l’orizzonte. Da pari a pari, o da nulla a niente.
Tra le tante parole ricevute le più ripetutemi son state due: la prima è coraggio. Ce ne sarebbe voluto tanto e mi pare di averlo avuto tutto. Fino in fondo, fino alla fine, quando vi ho chiesto, momenti prima del voto finale al congresso nazionale, di non votare contro Roberto Speranza perché per quel che nell’ultimo biennio ha dovuto fare e fatto con disciplina ed onore, non lo meritava, e al contempo, per restare leale a noi e alle nostre idee, ho scelto di farmi carico personalmente di tutto il peso dei nostri No, e ci ho messo la mia di faccia, non volendo bruciarne nessun’altra, rappresentandone ma tutelandone ogni, altra.
La seconda parola che mi avete rivolto è coerenza. Beh, lasciatemi dire che io credo non ci meritassimo nulla di meno di questo, non un’oncia.
Nella mia vita politica assieme a straordinarie soddisfazioni ho avuto delusioni, perso battaglie, fatto errori e persino sciocchezze, ma non ho mai difettato in fare e insistere in ciò che credevo giusto. Non conveniente, davvero mai conveniente, ma non me n’è fregato mai niente. Lo credo giusto, e tanto basta. Ecco, io credo non sia giusto che il nostro destino, inteso tanto in italiano quanto in castigliano – ove significa “destinazione” – sia quello di un accordo piccolo piccolo di confluenza nel PD per le prossime elezioni politiche. Il Partito Democratico è un importante presidio della democrazia repubblicana odierna, e naturalmente per la prossima congiuntura elettorale bisognerà dialogarci e giungere a un’intesa basata sulla cose da fare per disarmare le disuguaglianze, ma allo stesso tempo è una scatola bianca vuota, priva di ideologia con all’interno, tuttalpiù, contraddizioni legate a doppio filo col governare pur di governare a tutti i costi e con tutti i governi, come d’altra parte fa da più di dieci anni ininterrottamente, con la sola effimera eccezionale parentesi gialloverde. È del tutto lecito, ma è del tutto insufficiente.
No, quel che c’è non basta, e adeguarsi, acconciarvisi per mancanza di coraggio non serve a nessuno e a niente; prevedeva Fabio Mussi all’ultimo congresso dei DS nel 2007, 15 anni fa proprio l’anno in cui sono entrato con tutte le scarpe (rotte, eppur bisogna andar) in politica: «[…] ho l’impressione che il Partito Democratico non recupererà tutto […] lo spazio del centrosinistra. Ci sarà una parte grande della società italiana, che guarda a sinistra, che non si sentirà rappresentata».
Aveva ragione.
Dobbiamo provare a rappresentarla ed è ciò che faremo, altrove. Non più in Articolo Uno, non mai nel PD. Sia detto con tutto garbo e pieno rispetto anche nei confronti di chi non è ancora pronto a fare un passo là fuori oggi: lo aspetto, perchè rischia di ritrovarsi lì dentro dopodomani. Il Congresso è sovrano, ha deciso e per esercizio di igiene intellettuale con sé stessi tutto si può fare, adesso, tranne che prendersi in giro allo specchio raccontandosi che nulla è ancora deciso, tutto può cambiare. Che il tempo è tanto e la partita si rigioca e il risultato cambia e sarà tre volte avvento, Natale e sol dell’avvenire. No, la partita l’abbiamo persa ed è finita. Bisogna andare oltre, lo specchio, come Alice, in quella bellissima storia.
Prima d’aprirne un’altra ci sono molti modi per chiuderla, una storia. Spesso, la chiusura è burrascosa, ed ecco che volano stracci e schizzi, di fango, e polemiche, neanche pretestuose, e rabbia, anche legittima, e accuse, persino fondate.
Noi però no. Siamo persone perbene, facciamo le cose pulite. Io a coraggio e coerenza nel salutare con garbo mi sento in dovere, e piacere, di affiancare compostezza, senza sbraitare polemiche o sbattere porte. Né sputare nel piatto dove ho mangiato, o meglio sul pane che ho spezzato, perché è questo che vuol dire compagni, come mi ricordò Rossana Rossanda prima di divenire eterna: è una parola bellissima, che indica colui con cui si spezza il pane.
Sono grato per ogni singolo morso, per ogni singola briciola, per ogni singolo giorno, per ogni singolo militante che ho incontrato in questi mille e rotti giorni.
Qualche giorno fa era Primo Maggio e l’ho scritto qui: da quando entrai in un partito che nella sua ragione sociale ha il lavoro, dall’articolo uno della Costituzione, ho preso un’abitudine: ovunque io vada, dove c’è un lavoratore con cui interloquisca nell’esercizio delle sue funzioni, mi congedo sempre con «Buon lavoro!».
Potrà sembrar niente, invece per me vuol dir tanto, ed è tra le cose di cui sarò grato e porterò con me sempre. Senza mai perdere la tenerezza, come in quella frase del Che che così tanto amo.
E ogni volta sarà un po’ anche a saldare il mio debito di riconoscenza per tutte le compagne e i compagni di una bellissima comunità, dalla prima all’ultimo ci tengo a dire, indipendentemente da come ci s’è divisi ai congressi in tutta Italia, tra il 10% di contrari & astenuti che una volta di più ringrazio, e il 90% di favorevoli che rispetto.
Come ho detto dal palco del Congresso nazionale: se il PD farà quel passo di sinistra tanto atteso, mi direte: avevi torto. Ne sarò contento. Se non lo farà, e sarà rentrée nel PD, con presa di tessera o ospitata in lista, mi direte: avevi ragione tu, David. Non ne sarò contento. Lo sarò se avremo ragione di ogni nostra paura – che non a caso fa 90 – di essere noi stessi e non sfarinare verso destra, e se andando avanti ci ritroveremo da qualche parte e prendere, parte, allora sì, avremo da esserne contenti e compagni.
Il compagno di base prima che di qualsiasi altezza David spera solo d’aver fatto qualcosa di buono e lasciato un buon ricordo; a giudicare dagli attestati che mi avete accordato, tra chi mi stima per coerenza e coraggio, e chi mi accorda ‘semplicemente’ affetto, quanto a riguardo e rispetto sono in maggioranza nel partito, ben oltre il 90% e posso dirlo con sorriso a trentadue denti e tredicimila militanti.
C’ho messo il cocciutissimo cuore e ho fatto la mia parte, il mio pezzetto; da Uno: conoscerci, il censimento delle competenze di tutti gli iscritti che ho pensato e poi realizzato (son fatto così: quel che dico faccio) che ha connesso sentimentalmente e operativamente tantissime e tantissimi di noi, riempiendo i dipartimenti del partito in tutta Italia e attivandoli e accendendoli di vita e intelligenze, a quello che ho guidato di dipartimento, sempre da primus inter pares: Innovazione, democrazia digitale e nuove tecnologie. Con un pizzico di orgoglio collettivo crediamo sia stato tra i più operosi, forse addirittura il più vivo del partito, e siamo molto fieri di DiGiTALiA, Manifesto e contestuale Stati generali dell’Innovazione tenacemente tenutisi in piena pandemia.
C’è da essere contenti, del pezzo di strada fatta assieme, e c’è nel bene e nel meno bene, perfino nel male, da non avere rimpianti, io ho solo ringraziamenti.
In questi giorni ho riflettuto con tanti di voi che fanno oggi e faranno nei prossimi giorni e settimane questo passo con me, e ancora rifletto con tante e tanti che non lo faranno: state continuando a scrivermi (continuate a farlo!), e ciascuno concorda che c’è tanto da fare. Qualcuno pensa “verso destra”, noialtri crediamo a sinistra, e allora la #sinistra saluta, serena.
In uno degli ultimi messaggi sul mio telefono leggo: «colgo l’occasione per dirti che ho apprezzato la tua coerenza …non sempre condivido le tue posizioni…ma sarei felice di poter camminare insieme».
Certo che sì. Per altre strade, ma stesse scarpe, con idee e verso orizzonti che stiam già coelaborando e a breve condividerò, e in tutti i sensi condivideremo, perché da soli si va più veloce, ma insieme più lontano.
A tutte e tutti noi, comunque sia andata, dovunque vada e ovunque sia il destino: Buon lavoro!
