Il garantismo non esiste.

Il garantismo non esiste. Semplicemente non è di questo mondo. Per fortuna.

Se andate su Wikipedia, enciclopedia che consta di 321 edizioni in altrettante lingue diverse, solo in due su trecentoventuno troverete la voce ‘garantismo’: italiano e portoghese. In quest’ultima, ci si riferisce in particolare a quanto enunciato dal nostrano Luigi Ferrajoli in merito alle deviazioni delle risposte emergenziali al terrorismo italiano post-1975. Poi c’è la voce italiana. Punto.

Il concetto di garantismo appare straordinariamente di rado nella letteratura storico-filosofica; fu originariamente elaborato dal filosofo francese Charles Fourier come un sistema di sicurezza sociale volto a salvaguardare i soggetti più deboli, fornendo loro le garanzie dei diritti basilari.

Come è noto (solo da noi), è all’esatto contrario che si colloca l’esercizio apocrifo e abusivo dello stesso, ovverosia nel sistema di salvaguardia e difesa dei soggetti più forti e più fortemente e costosamente difesi in sede – anzi sedi, più e tirandola per le più lunghe possibile – di giudizio.

Questo falso storico-ideologico è nato con il berlusconismo, che dopo il provvido repulisti di tangentopoli ha reagito al “tutti dentro” con “i più ricchi e potenti fuori”.

Sino al 2008, quando il principale partito di opposizione allora nel Paese, guidato da Walter Veltroni, eccepì alla propria vocazione maggioritaria presentandosi alle elezioni politiche assieme alla formazione orgogliosamente giustizialista Italia dei Valori, una postura politica ancora sanamente e assennatamente ‘giustizialista’, ancorché via via sempre più all’acqua di rose. Da allora, parallelamente a un progressivo avvicinamento alle posizioni politiche liberiste del centro-destra, s’è visto un del tutto paragonabile schiacciamento sulle posizioni giuridiche di innocentismo deviato. Questo, entro il PD, con nuova e decisiva spinta propulsiva di un nuovo riformismo di foggia renziana dall’ascesa, con le primarie di coalizione, del futuro leader di Italia Viva a dicembre 2012, dieci anni fa esatti.

Da allora, un PD sempre più renziano, sempre più liberal-democratico, sempre più garantista.

L’egemonia culturale del ventennio berlusconiano sotto l’egida del garantismo non ha eguali in alcun altro ambito, a sinistra e ovunque nel Paese: se esistono radicate e diffuse opposizioni a grandi guasti di un ventennio che tarda a morire, come a evasione e condoni dei Governi di centro-destra succedutisi da un lato, e a (anti)cultura della TV commerciale con conseguente impoverimento educativo e intellettuale da un altro, il dogma o finto dio del garantismo è diffusissimamente accettato come civile, reale, sacrosanto.

Il sistema giuridico vi è stato piegato e plasmato via via al servizio dell’impunità ineludibilmente intrinseca del garantismo, tra innumerevoli  piccoli passi e inusitati grandi colpi di mano (lodo Alfano, fratelli e nipoti di Mubarak e Berlusconi), spesso ad personam, mai ad pauperim.

La non casuale concausa dello sbarramento di diversi gradi di giudizio per pressoché ogni istanza e il ricorso neanche dissimulato allo scudo prescrittivo – naturalmente come scappatoia per farla franca, e non per amor di certezza del diritto – agevolano al garantismo i pieni poteri affinché non si abbia potere alcuno su chi sbaglia e scappa.

Nel frattempo, fuori nel mondo, come dicevamo il cancro del garantismo non esiste.

Negli Stati Uniti invocare il garantismo produce lo stesso effetto che avrebbe avuto invocare, durante la Guerra Fredda, il comunismo, a tutt’oggi un epiteto dai tratti luciferini agli occhi statunitensi: proprio come il “garantire” un furfante a priori, a prescindere da ogni rilievo.

Sempre lì, pur tra mille storture in una democrazia solidissima, se sbagli vieni come è (di convivenza) civile, naturale e del tutto banalmente giusto, sbattuto dentro, e ne esci solo se e quando dimostri la tua innocenza. In qualsiasi altro Paese civile è di base lo stesso. In Italia è l’esatto contrario. Notoriamente, “in carcere non va mai nessuno”, di certo non i colletti bianchi, non l’intellighenzia, non i piccoli potentati, non le piccinerie enormi di politicanti non altrettanto.

Qualcosa però, in queste settimane, sembra registrare un’inversione di tendenza, e un ritorno a quella questione morale che Berlinguer il 27 novembre del 1980 definì come «la questione nazionale più importante».

Pare tutt’altro che innaturale, a tutt’oggi quantomeno a chi scrive, che ciò sia, debba essere tanto nodale a sinistra, soprattutto a una sinistra che nasce obtorto collo dall’antiberlusconismo della Seconda Repubblica, o comunque che cresca nella direzione d’affrancarsi e avversare esso.

La novità è che per la prima volta, in rapida successione nelle scorse settimane, i vertici di Sinistra Italiana (ed Europa Verde, che lo aveva individuato come indipendente per la lista Alleanza Verdi Sinistra) hanno “scaricato” Soumahoro, quelli di Articolo Uno Panzeri, e da ultimo persino il Partito Democratico ha sospeso Cozzolino. Il tutto rispettivamente con grandi dignità, sdegno e decisionismo. In comune, qualcosa di sinistra e una boccata d’aria fresca: non pare più essere il tempo, in questo campo, della difesa d’ufficio a priori, oltre ogni ragionevole dubbio, grado di giudizio, interesse di bottega, tribalismo di parrocchia.

In un Paese dove storicamente e lungo l’intero arco parlamentare (va riconosciutogli: con l’eccezione del MoVimento 5 Stelle, fautore peraltro della c.d. Spazzacorrotti) si è refrattari a far decadere dal seggio e relativa immunità un parlamentare persino miracolosamente condannato in via definitiva, persino della parte politica avversa – una connivenza storica spaventevole, anche qui che non ha altro esempio in alcun Parlamento del mondo che non sia monopartitico –, è  un buon viatico di un’inversione di marcia attesa troppo a lungo. E che d’altra parte non fa che allinearsi, finalmente, al Mondo, anche a quello più prossimo, di cui pure faremmo parte: il Parlamento Europeo ha impiegato un laicissimo e rapidissimo amen a far decadere la Vicepresidente Kaili, altresì coinvolta nella corruttela: 625 voti a favore, un contrario e due astenuti.

A causa del garantismo esasperato ed esasperante ancora dilagante come un tumore in tutto il corpo-Paese, l’Indice di percezione della corruzione di  Tranparency International ci vede ondeggiare nei bassifondi dello stesso tra Rwanda e Botswana.

Per risalire la china, nei prossimi anni non si potrà che avversare dal primo minuto l’ipergarantismo destrosissimo di Nordio, ma avvisare un minuto dopo la scoperta di qualche “compagno che sbaglia” lo stesso compagno: chi sbaglia, paga. Se non sbaglia, sarà lui a comprovarlo, non più noi a coprirlo.

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